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FALDA ACQUIFERA A RISCHIO ALL'ALFINA
LA CAVA SULL’ALFINA METTE A RISCHIO LA FALDA ACQUIFERA Considerate le intense e vaste prese di posizione da parte di cittadini e la denuncia presentata alle Procure della Repubblica dalle associazione ambientaliste sulla cava dell’Alfina, ho rivolto alcune domande a Filippo Belisario, responsabile della sezione WWF di Orvieto, per conoscere la realtà della situazione. a) Cosa sta succedendo sull'Alfina? L’Alfina è un vasto e articolato altopiano di origine vulcanica in cui sono presenti, in profondità ma non ovunque, degli estesissimi volumi di basalto, roccia derivante dal raffreddamento di antiche colate o espandimenti lavici. L’area si può visualizzare sulle carte come una sorta di poligono i cui bordi esterni descrivono grosso modo l’andamento Orvieto – Botto – Lubriano – Bolsena – Grotte di Castro – Proceno – Torre Alfina – Castel Viscardo – Orvieto. Il basalto è una roccia che, frantumata, ha delle caratteristiche ottimali sia per sottofondi stradali o autostradali, sia per massicciate ferroviarie. Per questo motivo, principalmente, viene cavata in gran quantità in diverse cave aperte nel nostro territorio (Botto, Castel Viscardo, Le Greppe presso Torre Alfina nel comune di Acquapendente e, recentissimamente, Proceno). L’escavazione serve per lo più per esportare la roccia frantumata fuori regione dove viene utilizzata per la realizzazione di infrastrutture diverse (TAV soprattutto). Tuttavia il basalto non è l’unica roccia in Italia ad avere tali caratteristiche… e l’Alfina non è l’unico posto in Italia dove esso è presente. Allo stesso tempo, però, i grandi volumi di roccia vulcanica dell’Alfina, sia basalto che tufo, sono sede, in profondità, di un importantissimo acquifero di rilevanza interregionale che interessa l’alto Lazio e l’Umbria occidentale. Un acquifero di tipo “multifalda”, cioè costituito da più falde idriche sospese in connessione fra loro, contenuto nelle fessure e fratture delle rocce. La profondità delle falde più superficiali non è elevata (talvolta anche 20 o 15 metri). b) Quando sono iniziati gli scavi? Nelle zone del Botto e di Castel Viscardo gli scavi sono iniziati da decenni. Il problema è che, anche se siamo in presenza di una legislazione nazionale e regionale che nominalmente prevede una temporaneità e limitazione nel tempo per le attività estrattive in un certo sito, attraverso tutta una serie di deroghe ed eccezioni i cavatori, una volta esaurita la potenzialità di un sito, chiedono dei ripetuti ampliamenti che regolarmente vengono accordati. Per di più lo stato precedente dei luoghi quasi mai viene ripristinato. Cosa che, pure, la legge richiederebbe. La questione dell’ampliamento della cava del Botto è storia recente, emblematica, ed altamente scandalosa per come si è svolta. Con una zona da decenni completamente off limits dove sono state scavate e rase al suolo intere colline con tecniche altamente invasive che prevedono ripetute esplosioni di mine. Con la caparbia volontà di proseguire ed espandere un’attività che, essendo altamente tecnologizzata, impiegando pochissime persone ed essendo soggetta ad un regime concessorio quasi gratuito, consente profitti stratosferici e la possibilità di fare vastissime azioni di lobbying. Con le passate amministrazioni comunali di Orvieto totalmente prone agli interessi del cavatore che concedono autorizzazioni su autorizzazioni senza battere ciglio e che, addirittura, nel momento in cui un cittadino ricorre al TAR per contestare la legittimità dell’ennesimo ampliamento (oltre ad affermare il diritto collettivo alla tutela del bene pubblico “paesaggio” e il proprio sacrosanto diritto individuale di non dover vivere in uno permanente scenario di polvere e guerra) si costituiscono in giudizio con l’imprenditore utilizzando soldi pubblici per il pagamento di tutto l’iter giudiziario. La questione, come ben si sa, ha avuto un esito solo inizialmente positivo, con il TAR dell’Umbria che, attraverso una coraggiosissima e civile sentenza, ha dato ragione piena al cittadino e, poi, con il Consiglio di Stato che, purtroppo, ha annullato di fatto la sentenza del TAR. c) E' a rischio la falda acquifera che alimenta gli acquedotti di Orvieto e paesi limitrofi? Assolutamente si. Nella cave è difficilissimo entrare e non ci sono quasi mai controlli. Quando però ci sono, si nota spesso la presenza di acqua corrente sul fondo degli scavi. E’ successo di recente alla cava delle Greppe di Torre Alfina dove, a ripetuti controlli della Forestale effettuati in diversi periodi dell’anno, risultava sempre la presenza di acqua corrente sul piazzale di cava. Ciò è la testimonianza del fatto che l’attività di scavo ha intercettato la più superficiale delle falde sospese. Questo è estremamente grave perché le falde sono in connessione fra loro attraverso sistemi articolati di fessure e fratture nella roccia ed è così sufficiente che qualche inquinante (magari anche la stessa nafta utilizzata per alimentare i macchinari di cava) venga sversato per errore e penetri a piccola profondità nella falda più alta per rischiare l’inquinamento dell’intero acquifero. Va qui sottolineata l’importanza strategica di questo acquifero dell’Alfina come risorsa idrica fondamentale dell’area vasta, non solo per la sua “portata equivalente” complessiva (stimata in circa 5.000 litri al secondo, una quantità di acqua in grado potenzialmente di alimentare acquedotti a servizio di quasi un milione di abitanti), ma anche per il fatto che alimenta il lago di Bolsena, con tutto ciò che questo fatto comporta dal punto di vista naturalistico, paesaggistico, ambientale, turistico, ecc. A questo proposito accludo, nel seguito, il testo del comunicato stampa relativo all’esposto-denuncia che un gruppo di associazioni ambientaliste del territorio (tra cui noi del WWF di Orvieto) ha recentemente presentato alle Procure della Repubblica di Viterbo e Orvieto, ai carabinieri del NOE e alla Forestale. d) Come si può conciliare l' esigenza di materiale per le costruzioni, delle necessità economiche dei lavoratori,...con la salute dei cittadini e la salvaguardia dell'ambiente? Credo che a questo riguardo debba valere il principio di “pensare globalmente, agire localmente”. Mi spiego. Penso che un moderato esercizio delle attività estrattive in una zona non debba essere sempre e comunque stigmatizzato, purché commisurato e tarato sulle esigenze locali e purché avvenga entro limiti certi e definiti. Il problema dell’Alfina è però diverso, ed è per questo che ritengo che nell’area le cave debbano chiudere il prima possibile, per i seguenti motivi: 1.In barba al Piano Regionale delle Attività Estrattive dell’Umbria la quasi totalità del materiale basaltico estratto viene portata fuori regione e non serve per lo sviluppo delle attività delle nostre comunità. 2.L’attività delle cave ha, in generale, una ricaduta occupazionale bassissima in relazione al danno che produce. Si è fatto un rapido calcolo per la recente concessione generosamente elargita dalla regione Lazio per una cava di basalto a Proceno e si è visto che, a fronte di circa 4 o 5 posti di lavoro garantiti dalla cava, si rischia di perderne oltre 20, connessi agli agriturismi e alle strutture ricettive dell’area, che è bellissima, per i problemi che la cava può causare (perdita complessiva dell’appeal turistico, paesaggi deturpati, rumori, polveri, strade perennemente ingorgate e rovinate dai camion, ecc.). Questo fatto è poi aggravato per le cave di basalto dell’Alfina dal rischio di inquinamento degli acquiferi. Inoltre, i recenti arresti eseguiti nel viterbese per corruzione da parte di imprenditori delle attività estrattive (tra cui quello recentissimo del sindaco di Civitella d’Agliano) indicano, senza voler generalizzare, che il business è talmente elevato e appetitoso da riuscire talvolta a ingenerare comportamenti penalmente perseguibili. 3.L’attività di cava, per quanto esercitata in conformità con la legge, è comunque fortemente speculativa e a mio parere eticamente discutibile in quanto, per pochi spiccioli di oneri di concessione, consuma risorse non rinnovabili (suolo, paesaggi, ecosistemi) della collettività. 4.Infine, l’espansione delle cave, così come tutto ciò che produce incrementi di attività nel territorio (nuovi insediamenti, aree artigianali, infrastrutture, ecc.) comporta da una parte un progressivo consumo di suolo e di aree naturali o seminaturali (tutte risorse non rinnovabili), dall’altra l’aumento di produzione di CO2 e inquinanti nell’atmosfera. Credo che sia giunto il momento di fare una profonda riflessione sull’insensatezza del nostro modello di sviluppo dedicato solo alla crescita perenne dell’economia e che non tiene minimamente in conto il fatto che questa Terra, così come le risorse e gli ecosistemi che la costituiscono, è un’entità “finita”, limitata, non disponibile e consumabile in permanenza. COMUNICATO STAMPA 20.09.2009 INTERAZIONE DELL’ATTIVITÀ ESTRATTIVA CON ACQUIFERI IDROPOTABILI E CORRELATO RISCHIO DI INQUINAMENTO DELLA FALDA IDROPOTABILE SOTTERRANEA RELATIVA ALLA CAVA DI BASALTO IN LOC. LE GREPPE, ACQUAPENDENTE (VITERBO). PRESENTATO ESPOSTO –DENUNCIA ALLE PROCURE DELLA REPUBBLICA DI VITERBO E ORVIETO, AI NOE- NUCLEI DI TUTELA AMBIENTALE DEI CARABINIERI DI ROMA E PERUGIA ED AL CORPO FORESTALE DELLO STATO DI ACQUAPENDENTE. Lo scorso 20 agosto 2009 le associazioni ACCADEMIA KRONOS UMBRIA, AMICI DELLA TERRA DI ORVIETO, APE, ASSAL DI ACQUAPENDENTE, COMITATO DI PROCENO, LEGAMBIENTE VITERBO, WWF DI ORVIETO hanno presentato esposto-denuncia alle Procure della Repubblica di Viterbo e Orvieto, ai NOE- Nuclei di Tutela Ambientale dei Carabinieri di Roma e Perugia ed al Corpo Forestale dello Stato di Acquapendente. L’esposto-denuncia è sostanziato –a giudizio dei firmatari- da documentazione attestante l’inequivocabile intercettazione per lunghi periodi di tempo (dall’aprile 2006 al maggio 2009) della falda acquifera sul fronte di escavazione della cava di cui trattasi. Il filmato e le foto contenute nell’esposto mostrano infatti senza alcun dubbio, la fuoriuscita di abbondante e costante acqua dal fondo del piazzale di cava, e precisamente all’intersezione della parete del fronte di scavo con il piano rappresentato dal piazzale. Confermando, come da sempre sostenuto dalle associazioni del territorio e da estesi studi scientifici commissionati anche da enti ed istituzioni pubblici, la natura del tipo a “multifalda” dell’acquifero del tavolato vulcanico dell’Alfina, cioè con presenza di più falde idriche (falde sospese) in interconnessione con la falda di base nelle vulcaniti, e quindi ad elevato rischio di inquinamento di tutto il sistema delle acque profonde, se esposto ad attività estrattiva. Tali tipologie di acquiferi sono infatti estremamente vulnerabili per la loro alta permeabilità, dovuta sia alla porosità delle vulcaniti (piroclastiti) che alla fessurazione dei corpi lapidei (lave) e quindi per la elevata velocità del flusso idrico sotterraneo; per cui una volta tolto lo strato superiore pedogenizzato (detto anche “terreno vegetale”, vera ed unica protezione) qualsiasi inquinante raggiunge rapidamente gli strati sottostanti. Da qui la incompatibilità, da tempo reclamata dalle scriventi associazioni, delle attività estrattive in essere -o peggio un loro eventuale ampliamento- con l’uso della risorsa idropotabile, sia sul versante laziale che umbro, data la natura unica dell’altopiano. La risorsa idrica potabile è infatti sempre meno disponibile tanto che ha costretto gli Enti locali ad onerosi investimenti sull’Alfina per cercare di utilizzarla al meglio per tutta la popolazione di confine dei due comprensori regionali. Com’è noto infatti il “conservone” di Castelviscardo è oggetto di ripetuti riempimenti di acqua potabile, trasportata con autobotti, per sopperire alle esigenze estive. In questa situazione, già di palese carenza idrica, appare veramente incomprensibile come si possa contemplare la prosecuzione, se non addirittura l’ampliamento, di attività estrattive dichiaratamente compromettenti la qualità e quantità della risorsa idrica in questione, anche a rischio della salute pubblica, considerata appunto la particolare vulnerabilità idrogeologica dell’altopiano e la facilità di intercettazione delle falde idriche da parte di inquinanti. Giova infatti far presente che la stessa ARPA Lazio, coinvolta dall’Assessorato Ambiente della Regione Lazio con una richiesta di supporto tecnico nella valutazione degli aspetti di natura idrogeologica riguardanti la cava in oggetto, abbia ricalcato appieno il modello di rischio idrogeologico indicato in questi anni dalle associazioni attraverso le perizie idrogeologiche (relazioni Prof. Biondi 2006 -2008), le osservazioni ai progetti di ampliamento presentati dalla ditta esercente la cava ed in totale allineamento con i numerosi studi commissionati da enti pubblici come appena sopra detto, oltre alla natura idropotabile della risorsa idrica dell’area. Il che rafforza la preoccupazione delle associazioni firmatarie circa la possibilità di analoghe interazioni nelle altre cave di basalto attive sul tavolato vulcanico (Botto, Castel Viscardo, Proceno) stante la comune natura dell’acquifero. L’esposto-denuncia ha lo scopo da una parte di sollecitare la Magistratura inquirente di intervenire come dovuto per l’accertamento di reati sussistenti in via commissiva ed omissiva, disponendo indagini di polizia giudiziaria per l’accertamento dei fatti e la punizione degli eventuali colpevoli, dall’altro vuole segnalare ancor una volta la preoccupazione delle associazioni organizzate di cittadini del territorio e di quelle ambientaliste in merito alla tendenza da parte degli enti pubblici di continuare, anzi di accelerare come sembra negli ultimi tempi, la concessione di spazi sempre maggiori per le attività di escavazione, in un’area ormai unanimemente riconosciuta a grande rischio idrogeologico, che comprometterebbe inoltre, fortemente ed in maniera irreversibile, le altre economie rinnovabili - queste sì- come l’agricoltura di qualità, il turismo legato al paesaggio, il turismo ambientale, le attività culturali, le attività legate al soggiorno residenziale, ecc. Il Tavolo Interregionale Interistituzionale che si apre giovedì 24 settembre a Perugia e che vedrà la presenza delle due Regioni Umbria e Lazio, le Provincie di Terni e Viterbo ed i Comuni del tavolato vulcanico dell’Alfina: Orvieto, Porano, Bolsena, Proceno, Acquapendente, S.Lorenzo Nuovo, Castel Viscardo e Castel Giorgio per raggiungere l’obiettivo del “Progetto per l’Alfina” è certamente la sede privilegiata perché quanto quivi sostenuto trovi l’attenzione dovuta. Il comportamento degli enti che interverranno al tavolo sarà da noi valutato e portato alla attenzione dell’opinione pubblica affinché la comunità intera vigili sul suo operato capace -ci auguriamo- di rilanciare una economia sostenibile in questa importante area di confine che è depositaria di così tanta storia, tradizioni e bellezze ambientali che meritano di essere tutelate ed ancora usate per le generazioni a venire. Accademia Kronos- Sezione Umbria (presidente Roberto Minervini) Amici della Terra- Sezione di Orvieto (presidente Monica Tommasi) APE- Ass. tutela ambiente e sviluppo economico di Orvieto (presidente Agostino Paci) ASSAL- Associazione per lo sviluppo sostenibile e la salvaguardia dell’altopiano dell’Alfina di Acquapendente (presidente Marco Carbonara) Comitato per la tutela e lo sviluppo compatibile del territorio Alta Tuscia di Proceno (presidente Giovanni Bisoni) Legambiente- Circolo Coordinamento Provinciale di Viterbo (presidente Pietrina Anna Falasca) WWF Orvieto sezione di Orvieto (responsabile Filippo Belisario)
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