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IL FOTOVOLTAICO A ORVIETO
La notizia In questi giorni il settore urbanistica del Comune di Orvieto ha presentato un documento relativo agli “Impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili” per l’individuazione dei siti idonei e delle tipologie per la produzione di energia con l’utilizzo di fonti rinnovabili, da realizzare in zone classificate “E agricole” dal vigente PRG.S e superiori alla potenza di 25 kW. ><><>< Se continua di questo passo, presto gli agricoltori dovranno cambiare nome. Già da tempo la terra sta scadendo. Prende lo sgomento se si considera la quantità degli oliveti abbandonati, delle terre lavorative lasciate incolte in preda a cardi, erbe infestanti, spinaie, se pensiamo che, in seguito alle direttive della Comunità Europea e all’andamento generale, i terreni italiani sembrano diventati incapaci di produrre il minimo fabbisogno alimentare della popolazione… E questo non solamente per il sensibile aumento numerico di coloro che popolano la Penisola, bensì, per esempio, per il fatto che la qualità del nostro grano è scadente, idonea solamente per l’alimentazione animale. Stessa situazione per altri prodotti agricoli. E pure l’olio nostrano, che pure è ottimo, diverrà presto un ricordo, soppiantato da altri, provenienti chissà da dove e venduti nei supermercati ad un prezzo irrisorio al tempo della produzione locale con l’etichetta ”imbottigliato in Umbria”, senza che ne sia precisato il luogo di produzione. Sarà pure vero che il grano italiano sia scadente. Ma è pure vero che il grano in commercio, sicuramente importato, produce un tipo di farina con qualche problema di lievitazione se ci sono panificatori che ricorrono all’aggiunta di farina di manioca. Qualcosa deve esserci nelle varietà attuali se il pane non è più quello di una volta, se la pasta fatta in casa si stende a fatica e non è proprio malleabile. Data la premessa, vorrei tornare al tema iniziale. Dunque, stando così la situazione, molti agricoltori preferiscono lasciare i terreni incolti piuttosto che spendere per fare investimenti e introdurre nuove colture. Ed ora, in realtà da mesi e mesi, sperando nell’investimento per l’affitto dei terreni, qualcuno sta puntando alle fonti alternative. Sarebbe bello se per fonti alternative s’intendesse l’introduzione di colture in grado di favorire sia l’agricoltura, sia l’ambiente, sia le opportunità di lavoro. Macché! Le belle campagne e le pianure dei decenni passati assumeranno probabilmente un aspetto fantasioso, irte di pali, fitte di strade e stradine, tempestate da pannelli fotovoltaici. Estetica a parte, le Associazioni ambientaliste vedono nero per gli effetti sul terreno e le falde acquifere se quanto proposto dagli Amministratori verrà attuato… E’ indiscutibile che una modifica così radicale dei terreni agricoli richiederà, soprattutto, ingenti spese. Tanto per ripetermi: non sarebbe meglio se il denaro venisse impiegato per reintrodurre la coltivazione della canapa, considerato che per millenni le valli lungo i corsi d’acqua e l’area pianeggiante che costeggia il Paglia da Monterubiaglio fino in prossimità della confluenza nel Tevere erano pressoché interamente interessate da terre canapulate? Mentre nel passato la coltivazione della canapa era mirata soprattutto alla produzione di tessuto, vele e cordami, attualmente le prospettive sono rivolte alle nuove esigenze dell’industria. Oggi dalla canapa si può ottenere olio alimentare, farina, semi, carta, tessuto, plastica, carburante, combustibile, concime, pannelli isolanti, pannelli rigidi per i mobili… Il ritorno e il decollo della canapa, oltre a creare nuovi posti di lavoro, consentirebbero di mantenere tale il terreno agricolo, evitandone stravolgimenti, deterioramenti e problemi, imperdonabili in un futuro quanto mai prossimo. Santina Muzi
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